Anche i samurai erano gay (E non andavano a escort).

Anche i samurai erano gay (E non andavano a escort).

Si pensa che la sessualità sia davvero una
faccenda chiara e invece non lo è per niente, né oggi né in tempi più remoti.
È vero che i più vanno a donne,
trans e ad accompagnatrici, che cercano gli
annunci escort,
ma c’è sempre un lato nascosto degli uomini che solo la storia riesce a portare
alla luce.

Lo Shudō come pratica omosessuale

Lo Shudō era una prassi samurai in cui i guerrieri più vecchi
(wakashû) aiutavano gli apprendisti giovani (nenja) e veniva ritenuta necessaria
per insegnare la virtù e l’onestà ai giovani ragazzi.
L’amore canonico veniva poco considerato perché si credeva avesse un effetto
femminizzante sui combattenti e utile solo per mettere al mondo i figli.

I samurai consideravano i ragazzi dai 13 ai 19 anni adatti al
sesso e quando divenivano maggiorenni, interrompevano la loro relazione sessuale
e continuavano ad essere amici intimi. A sua volta il membro divenuto Samurai
adulto poteva a sua volta intraprendere nuovi rapporti Shudō.
Questa relazione era considerata reciprocamente vantaggiosa e ci si aspettava
che entrambi i partner fossero leali tra loro.

Inizio dello Shudō

Lo Shudo cominciò nel 1200 e raggiunse la massima espansione
nel 1602.
Durante questo periodo gli attori kabuki in viaggio spesso lavoravano anche come
prostitute maschili e spesso si travestivano da donne

Il declino dello Shudō

Lo shudo iniziò a declinare nel 18° secolo
quando venne riconsegnato il potere all’imperatore dopo sette secoli di dominio
dei dittatori militari: il Giappone fu costretto quindi ad aprire i suoi confini
e a soccombere alle influenze del cristianesimo.

L’omosessualità ha radici antiche

Le vere radici dell’omosessualità in Giappone
risalgono ad alcuni dei primi testi redatti in lingua giapponese, come il Kojiki
(古事記 letteralmente “cronaca di antichi eventi”), redatto nel 712 dal nobile
Ō-No-Yasumaro su richiesta iniziale dell’imperatore Tenmu) ed il successivo
Nihonshoki (日本書紀).

Fonti letterarie: sesso e trans

Di scritti antichi dedicati all’amore gay segnaliamo Nanshoku
ōkagami 男色大鑑 di Ihara Saikaku, che è un l’elogio al sesso tra il nenja e il
wakashû:
“In mancanza di baldi giovani le donne possono soddisfare le voglie di un
vecchio funzionario, ma per un uomo nel pieno del vigore fisico non sono buone
neanche per fare quattro chiacchiere. Dunque su, non perdiamo altro tempo e
varchiamo il cancello dell’irrinunciabile Amore per i ragazzi!”.

“Storie di Uji” (1212 – 1221) che narrano gli incontri tra
monaci e novizi,

rapporti non solo sessuali
, ma anche di devozione.

Nel periodo Heian il “Genji monogatari” descrive le passioni
sessuali di uomini stregati dal fascino di ragazzi più giovani e nel 1676
Kitamura Kigin scrive i Iwatsutsuji, una raccolta di poesie sull’omosessualità.
Più recentemente, una figura di riferimento sul tema Giappone e omosessualità è
senza dubbio Yukio Mishima, che nel 1949 scrive “Confessioni di una maschera”,
un romanzo dove il protagonista si scopre attratto da uomini molto virili e
coltiva un desiderio carnale che lo consumerà tanto da consumarlo, turbarlo e
costringerlo alla repressione.

 

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